In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, condividiamo una storia raccolta da Chiara Scotton, medico in Servizio Civile Universale in Perù.
Purtroppo non si tratta di un caso isolato, in ogni campagna sanitaria o missione domiciliare la nostra equipe incontra diverse donne vittime di violenza, fisica, sessuale e/o psicologica. Non è un caso che il Perù sia uno dei paesi con il più alto livello di violenza di genere (fonte: Banca Mondiale), con la regione Apurimac saldamente in testa alla classifica dei dipartimenti con più casi segnalati di violenza esercitata dal marito o dal partner (fonte: Instituto Nacional de Estadistica e Informatica 2009-2019).
Siamo alla fine dell’ultima giornata di campagna, sono convinta di aver finito quando un’ultima donna, che avrà poco più di 35 anni, entra timidamente nella stanza chiedendo se la posso visitare. “Farò presto” promette. La faccio accomodare con un sorriso stanco e annoto sulla storia clinica quanto mi racconta. Ana María, nome di fantasia, soffre di un mal di testa occasionale, di una probabile infezione urinaria e lamenta un dolore lombare importante. Indago i vari sintomi e giunta al mal di schiena sono pronta ad ascoltare le stesse motivazioni datemi dai pazienti visti precedentemente: lavoro nei campi, sollevamento di grandi pesi...
In un istante, invece, le parole di Ana María mi svegliano dal torpore dato dalla stanchezza di fine giornata. “Doctorita, mi esposo me golpea... por eso tengo dolor de espalda. Hay un medicamento por el dolor?” “Dottoressa, mio marito mi picchia... è per questo che ho mal di schiena. C’è un farmaco per il dolore?”. Credo sia la leggerezza con la quale questa richiesta viene formulata a scuotermi maggiormente. È come se dalla sua bocca fosse uscito un “Ho l’allergia.. mi può prescrivere dell’antistaminico?” Mentre penso a cosa risponderle prendo tempo, finendo di scrivere la ricetta. Alzo la testa, la fisso dritta negli occhi, cerco di mantenere la voce più neutrale possibile: “Ana María, tu lo sai che l’antidolorifico che ti posso dare non risolverà il tuo problema? Certo, ridurrà un po’ il dolore che stai provando in questo momento ma se tuo marito continua a colpirti non sarà servito a nulla prendere questo farmaco. Devi evitare le botte”. Mi guarda e annuisce senza convinzione, come se con questo volesse solo mettermi a tacere e chiudere il più velocemente possibile la visita. Sento che le mie parole sono inutili, le scivolano addosso. Mi ringrazia, prende le medicine che le ho prescritto ed esce dalla stanza con la stessa delicatezza con la quale è entrata.
Essere oggetto di violenza è talmente scontato e parte della sua quotidianità che quello che vuole è solo ottenere un farmaco che renda il tutto più tollerabile.
D’altro canto come puoi tu come donna essere consapevole di quali sono i tuoi diritti quando sei stata abituata fin da piccola a vedere tuo nonno insultare tua nonna, tuo padre picchiare tua madre? E perché dovresti dire a tua figlia di farsi rispettare e non sottostare alle prepotenze del ragazzo con il quale si sposerà?
È la frequenza con la quale un meccanismo si ripete a renderlo normale.
E quando un meccanismo è naturalizzato è difficile rompere l’ingranaggio e far capire che in realtà i pezzi dovrebbero essere assemblati in maniera diversa. Il primo schiaffo arriva e fa male, ma ne hai già visti dare talmente tanti che ti chiedevi solo quando sarebbe arrivato il tuo turno. Il secondo ti lascia un’ombra sul volto a cui nessuno fa caso. Al terzo sei assuefatta, e quella che era la normalità per tua madre ora è diventata la tua normalità. Un labirinto in cui ogni strada è un vicolo cieco. Un labirinto nel quale accetti di perderti perché non conosci alcuna via d’uscita.
Immagine di copertina ©United Nations