Per la giornata internazionale della lingua madre che si celebra oggi, facciamo un breve excursus sulle lingue originarie del Perù.
In Perù, attualmente, si parlano 47 lingue indigene o native.
La lingua è l’espressione dell’appartenenza a un gruppo sociale e culturale e rappresenta una combinazione di saperi, storie, costumi, nonché un modo particolare di interpretare la vita e interagire con l’ambiente. Attraverso l’uso delle lingue i popoli manifestano sé stessi: i loro affetti, le tradizioni, le visioni del mondo, i valori, le conoscenze… La perdita di una lingua rappresenta una perdita irreparabile per tutta l’umanità. Si conta che siano 35 le lingue native del Perù estintesi negli ultimi 40 anni.
Per “lingue native” si intendono quelle anteriori alla diffusione dello spagnolo e che sono conservate e utilizzate nell’ambito del territorio nazionale. Sono impropriamente definite dialetti per una scelta – più o meno cosciente – che tende a relegare a questo termine lingue considerate di scarso prestigio sociale.
Come tutte le altre lingue, anche quelle native del Perù, hanno varianti, una propria grammatica e un sistema standardizzato di scrittura.
Il mezzo di espressione privilegiata di queste lingue è la trasmissione orale e come tale l’UNESCO le riconosce come manifestazione del patrimonio culturale immateriale dell’umanità. La tradizione orale comprende un’immensa varietà di forme parlate: proverbi, enigmi, storie, canti, leggende, miti, poemi epici, incantesimi, preghiere, salmodie, canti, rappresentazioni drammatiche…
Il potere e le lingue
Il potere politico ha sempre privilegiato una lingua piuttosto che un’altra, sin dai tempi del Perù preispanico.
Durante l’impero incaico furono adottate misure affinché una variante del Quechua diventasse lingua dell’impero, tanto che i figli delle classi dirigenti erano tenuti ad andare a Cusco per apprendere le arti del governo e il Quechua.
Con la colonizzazione degli spagnoli si assistono a due fasi in relazione alle lingue native: in un primo momento c’è interesse nei confronti della lingua per finalità evangelizzatrici. La Corona di Spagna obbliga i sacerdoti ad imparare il Quechua per meglio portare avanti la loro opera evangelizzatrice. Ben presto il Quechua fu ritenuta troppo semplicistico per trasmettere il credo cattolico. Questo è un classico esempio di come un gruppo ritenga una lingua antica e complessa come inferiore quando in realtà furono gli spagnoli stessi a non riuscire a tradurre efficacemente le idee nella lingua locale.
La seconda fase, a partire dal 1782, fu di proibizione e repressione dell’uso del Quechua.
In particolare a partire dal 1792, l'amministrazione borbonica adottò politiche di eradicazione a partire dalle scuole, la cui frequenza era obbligatoria ma le lezioni erano tenute in Castigliano.
In Castigliano si tenevano anche le “vendite” dei terreni agli spagnoli, in modo che gli indigeni non potessero intervenire e contestare la decisione.
Anche a seguito dell’indipendenza, nel 1821, la nuova classe dirigente continuò a ritenere che lo spagnolo dovesse essere la lingua ufficiale, continuando a considerare le lingue native e in particolare il Quechua incapaci di essere usate nella sfera pubblica poiché associate ai popoli indigeni e questi, a loro volta, alla povertà e all’analfabetismo.
Le lingue native rimangono quindi relegate alla sfera privata: la famiglia e la comunità.
Nel XX secolo sono stati numerosi gli interventi studiati per tutelare i popoli indigeni e le lingue in cui si essi si esprimevano, la maggioranza puramente simbolici a causa della scarsa volontà politica o delle condizioni sociali insufficienti a garantire i diritti dei parlanti lingue native.
Nella Costituzione politica del 1993, all’art.48, e la Legge 29735 sull’uso, la conservazione, lo sviluppo, il recupero, la promozione e la diffusione delle lingue native garantisce l’esercizio dei diritti linguistici individualmente e collettivamente, nonché il diritto di usare la propria lingua in tutti i settori.
Nonostante questo, gran parte della società peruviana ritiene che la lingua spagnola sia superiore alle lingue indigene o native, che l’oralità le renda gerarchicamente inferiori allo spagnolo. La presenza delle lingue indigene è scarsa nei media, negli spettacoli culturali, nelle pubblicazioni accademiche…
Molti ancora associano ancora l’uso delle lingue indigene a minore intelligenza, povertà, analfabetismo e arretratezza sociale. Quindi i parlanti di lingue indigene si limitano a usare la loro lingua madre in spazi intimi come la famiglia.
I dati
Secondo il censimento del 2007, sono 4.045.713 le persone che parlano una lingua nativa, circa il 15% dell’intera popolazione.
Le 47 lingue si suddividono in: 43 lingue amazzoniche e 4 andine, raggruppate in 19 famiglie linguistiche: 17 amazzoniche e 2 andine.
La famiglia linguistica Quechua, parlato nella regione di Apurimac, è un caso particolare: secondo alcuni linguisti andrebbe considerata una famiglia di lingue, altri una lingua con più varianti. Il Ministero dell’Educazione peruviano ha classificato il Quechua in 4 rami: amazzonico, settentrionale, centrale e meridionale. Ogni ramo ha poi al suo interno diverse varietà.
C’è ancora pochissima documentazione sulla situazione dei diritti linguistici dei parlanti delle lingue native. Le caratteristiche socio-economiche di chi parla le lingue indigene sono uno dei pochi dati a disposizione del Perù: le peggiori condizioni sono associate ad avere una lingua indigena come lingua madre.
La popolazione povera è – su base nazionale – quasi il doppio tra coloro che parlano una lingua nativa anziché lo spagnolo (33,4% contro il 18,8%).
Per quanto riguarda l’educazione più della metà dei nativi (50,5%) ha come livello massimo di istruzione raggiunto solo la licenza elementare (o si è fermata prima), l’11,4% ha completato il ciclo superiore (contro il 32,8% dei parlanti spagnolo).
I dati relativi alla salute materna evidenziano ancora una volta una differenza tra parlanti spagnolo e lingue native.
L’81,5% delle donne che parlano spagnolo si sono sottoposte ad un controllo prenatale, contro il 70,8% delle donne che parlano una lingua indigena.
Tra chi parla spagnolo il 66,5% ha partorito assistita da un medico, contro il 49,5% delle donne indigene.
La maternità o gravidanza nelle adolescenti è più frequente nelle ragazze che parlano lingue native (21,9%) piuttosto che tra coloro che parlano spagnolo (13,1%).
L’unica statistica a vantaggio delle donne native riguarda l’assistenza al parto: il 9,4% è stata assistita da un famigliare, contro l’1,8% delle donne che parlano spagnolo.
il Quechua in Apurimac
Il Quechua meridionale parlato in Apurimac si distingue in Chanca Quechua e Collao Quechua.
La regione di Apurimac è una delle regioni in cui più persone parlano una lingua nativa, ben il 71% di essi, con una concentrazione del 90% nella provincia di Cotabambas e dell’81% in quella di Chincheros.
Le autorità politiche della regione Apurimac insieme alla società civile hanno sviluppato molteplici iniziative per implementare la rilevanza culturale e linguistica nella gestione pubblica e nel curriculum educativo regionale.
In considerazione dell’alto numero di persone parlanti Quechua e le richieste della società civile nel 2016 è stato firmato l’ “Accordo specifico di cooperazione interistituzionale tra il Ministero della Cultura e il governo regionale di Apurimac” per l’attuazione della legge 29735, rendendo così Apurimac la prima regione ad attuare suddetta legge. È in corso la prima fase, quella di raccolta dei dati al fine di individuare le lacune linguistiche nell’erogazione dei servizi pubblici.
Fonti:
- Decreto Supremo que aprueba la Política Nacional de Lenguas Originarias, Tradición Oral e Interculturalidad - Decreto Supremo n° 005-2017-mc
- Lenguas originarias del Peru
- Fecha de lengua - Quechua
- Censos Nacionales 2017: XII de Población, VII de Vivienda y III de Comunidades Indígenas (pdf)